Le mani di Hamara si muovono agili, sicure, tra morsetti e pignoni. Hanno iniziato bambine a riparare biciclette, nell’officina del padre a Bamako, Mali, hanno ripreso a 23 anni nella Ciclofficina Mondo, a Brescia. In mezzo una vita d’avventura, la Libia di Gheddafi come riparo agli scontri etnici del suo Paese, la fuga precipitosa allo scoppio della guerra civile, lo sbarco a Lampedusa, il sospirato status di rifugiato politico.
La vita di Hamara incrocia a Brescia quella di Adl Zavidovici, una onlus nata sull’onda delle emergenze umanitarie in Bosnia, e che dal 1996 si occupa di cooperazione, accoglienza, formazione al lavoro per migranti. E che per loro vede uno sbocco possibile anche in una ciclofficina. «A Brescia mancava – racconta Elio Rudelli, nella sede dell’onlus – e così nel 2013 abbiamo attivato un corso di 35 ore di manutenzione della bicicletta e di educazione stradale. L’hanno frequentato una ventina di migranti, al termine abbiamo scelto le due persone più adatte e motivate».
Viene dal Mali anche il secondo, Sory. È di Segou, la vecchia capitale dell’impero Bambara, 200 km a nord-est di Bamako. Anche lui imbarcato in fretta e furia – su un altro barcone – per Lampedusa, diventa ‘rifugiato’ come Hamara, e come lui frequenta il corso di Brescia. Nel suo Paese faceva il carpentiere, di metalli è già pratico, di biciclette lo diventa.
Hamara e Sory, una volta selezionati, affrontano un tirocinio di sei mesi in azienda (Ruotalibera, di Gussago), per imparare i segreti del mestiere. Gli fanno qualche lezione anche i dirigenti della Fiab di Brescia. Visitano fiere, frequentano seminari sulla gestione del negozio.
Con la supervisione di Adl Zavidovici formano la cooperativa Gekake, che in lingua bambara significa “tutti uniti” (qui è il loro sito) coinvolgendo come terzo socio Justus, 32 anni, da Nairobi: in Kenya faceva il contabile, in Italia ha iniziato raccogliendo pomodori e olive, poi ha preferito il commercio, tra spiagge, piazze, mercati, ogni stagione il suo assortimento. E alla fine del 2013, su la saracinesca – affaccia su una vietta tranquilla, in centro, 500 m da Piazza della Loggia – e la nuova avventura ha avvio.
Hamara spera di tornare in sella a correre come faceva in mali, justus sogna di fare l’ambulante su un cargo-trike
«Qui in negozio tutti facciamo un po’ tutto» racconta Hamara; ma quando ci distrae il suono del campanello della porta è Justus che si stacca dal bancone dove stiamo chiacchierando, si prende carico della cliente appena entrata, la accompagna tra le bici esposte, la tenta digitando veloce, su una vistosa calcolatrice, prezzi e sconti. Sory e Hamara, da buoni meccanici, ci parlano a strappi senza smettere il lavoro di fino sulle bici in riparazione.
Un po’ alla volta si scioglie il clima, con la confidenza si apre il libro dei sogni. C’è la speranza di Hamara di tornare in sella a correre come faceva in Mali, e prima di lui suo padre; c’è quella di Justus di fare l’ambulante su un cargo-trike, «proprio uno come questi», e indica la foto in copertina di BC.
Justus è tornato al banco, la signora tornerà, forse, domani. Nulla di fatto per ora. «In tanti – si lamenta – vogliono una bici, ma un po’ bruttina, e che costi poco. Così, dicono, non ce la faremo rubare». Per una bici nuova se ne vendono dieci rigenerate in ciclofficina.
«Non è semplice valutare la redditività dell’impresa – riflette Elio Rudelli – ma di sicuro abbiamo colmato un vuoto, offrendo un servizio che gli altri due negozi del centro non hanno». La clientela è varia, come le bici in mostra, c’è anche la fissa della casa vicino all’elettrica di marca. Nel tempo breve della nostra permanenza si succedono una donna di Sri Lanka che non si dà pace per il cattivo funzionamento della sua e-bike, e un giovane di brescianissima cadenza per una messa a punto di una bici da corsa d’alta gamma.
Uscendo incrocio un’altra cliente. Con sé ha solo un verbale, la bici, danneggiata in un incidente stradale, è in custodia al comando dei vigili urbani; chiede ai ragazzi di andarla a ritirare, verbale alla mano, per valutare i danni e fare un preventivo per l’assicurazione. Un attimo di logica titubanza (loro son pur sempre migranti, i vigili forze dell’ordine…), poi si fanno spiegare la strada, escono in coppia. «Dopo vi raggiungo anch’io» li rassicura Elio…
Per tutto il tempo, in un angolo del negozio, si sono scambiati posto e chiacchere, su una panchina, altri migranti. I gestori, tra intervista e lavoro, sembravano non curarsi di loro. Ma brevi parole, di quando in quando, lasciavano capire che c’è alle spalle una storia comune che si è fatta fratellanza. È vero, le ciclofficine sono sempre luoghi dove la socialità dilata il tempo, chi ha fretta si accomodi pure all’uscita. In questo caso però c’è dell’altro: c’è che Ciclofficina Mondo è diventato una sorta di casa del popolo per la vasta comunità dei migranti a Brescia. Ripara e rimette a lustro biciclette, e intanto riscalda cuori e accorcia distanze.